La paura di finire il budget nel trading

La paura di finire il budget nel trading

Il timore di finire il budget è tipico del lavoro dello Sport Trader. A me è accaduto di provarlo, soprattutto nella fase iniziale.

Ormai da molti anni ho una strategia impostata su “High Stake”: pochi movimenti mensili a fronte di importi elevati di investimento. 

Un tipo di approccio che mi sento di consigliare a chiunque voglia svolgere questa attività al meglio, nella misura in cui garantisce la tranquillità sia per la psiche sia per il portafogli. 

Si tratta di una strategia che sul lungo periodo mi lascia davvero tranquillo, grazie ai dati e alle esperienze delle stagioni precedenti che ne confermano la solidità.

Negli anni passati però un piccolo grande dubbio mi agitava: e se non avessi sufficiente budget per arrivare alla fine della stagione?

Ritengo che la tematica possa essere affrontata da due punti di vista:

  • Il rapporto stake / budget
  • la gestione di una bad run

Il rapporto Stake / Budget

La prima possibile causa di questa paura è un errato rapporto tra stake e budget a disposizione.

Tale rapporto è codificato dalla personale strategia di money management, ossia dalle regole adottate per gestire il budget a disposizione.

Come già sottolineato, è bene compiere delle scelte ben precise per strutturare il proprio piano di azione.

Nel mio caso, ad esempio, considerando la quantità dei movimenti giornalieri (massimo 1 al giorno in settimana e massimo 3 al giorno nel weekend) le domande da porsi sono le seguenti:

  • quanti stake complessivi ho a disposizione? 
  • in quante parti divido il mio budget? 
  • quanti errori consecutivi sono in grado di sopportare economicamente?
  • quanta “ampiezza di varianza” posso gestire con il mio budget complessivo?

Le risposte sono soggettive, nella misura in cui esiste per ognuno di noi una soglia che ci fa stare tranquilli ma non troppo.

“Non troppo” perché esiste anche il problema opposto: ovvero avere troppi stake a disposizione ed essere troppo leggeri, superficiali e poco concentrati nelle proprie scelte.

Ad esempio, nella stagione passata la mia serie negativa più lunga (in gergo chiamata bad run) è stata di 4 movimenti consecutivi. Nella stagione precedente, invece, nonostante la chiusura con un saldo positivo, nel mese di Febbraio 2021 ho dovuto gestire una serie di 7 eventi consecutivi. Eventi che diventano 11 se consideriamo l’intervallo di un unico evento positivo (quindi ben 10 eventi negativi su 11).

Analizzando il mio database storico ho osservato che un evento simile è stato abbastanza insolito nel mio percorso di Sport Trader. Una serie così lunga è di solito alimentata non solo da varianza e normalissimi errori di valutazione, ma anche da una fase di tilt prolungato che altera il processo decisionale ordinario. Questa serie negativa record, risale infatti a un mese molto complicato dal punto di vista personale e imprenditoriale, che ha inciso direttamente sul mio equilibrio di Trader.

Ad ogni modo quella stagione si è poi conclusa in modo positivo, il che ha dimostrato la capacità del mio impianto strategico di reggere anche a rotture prolungate ed eventi straordinari.

Ma cosa sarebbe successo se non avessi avuto budget per proseguire?

Di sicuro, sarebbe stato disastroso economicamente e psicologicamente.

Per questo motivo è fondamentale scegliere attentamente il rapporto stake/budget facendo ipotesi, analizzando i dati storici e l’entità massima di un periodo negativo. In questo modo garantiamo a noi stessi la possibilità di proseguire economicamente anche dopo eventi negativi. Oltre che misurare il rendimento della stagione sul lungo periodo, come è giusto che sia.

A tal fine, sempre analizzando il mio database storico, ho rilevato 5 stake di media come massimo punto negativo in condizioni ordinarie e 10 stake come evento straordinario. Sulla base di questi parametri ho impostato il rapporto 1 a 15, ossia ho valorizzato il mio stake base come 1/15 del mio budget complessivo.

Perché 15 e non 20 o 30 per stare più tranquillo?

Semplice: sempre una scelta dettata dai dati. Ho notato infatti, che per me esiste anche il problema opposto: troppi stake a disposizione riducono l’ambizione e la concentrazione per la protezione del budget. In pratica, limitare lo stanziamento economico a quanto razionalmente necessario equivale a porre una limitazione che mi rende più lucido e performante.

Del resto accade in tutti i campi professionali: la ristrettezza delle risorse ha da sempre favorito l’ottimizzazione, mentre al contrario l’abbondanza eccessiva spesso induce allo spreco.

Per questo motivo è per me fondamentale dotarmi di un rapporto stake/budget tale da non avere razionalmente problemi di dimensionamento e continuità, ma allo stesso tempo contenerlo al punto giusto per concedermi la possibilità di essere maggiormente performante.

Ed è proprio così che mi organizzo per la gestione delle mie risorse.

Ho un budget più alto rispetto al valore dello stake che voglio gestire quotidianamente. Come lo utilizzo? Preferisco costituire una riserva di budget straordinaria. In questo modo le risorse in più non influiscono sul valore medio dei miei investimenti, però mi regalano la tranquillità di poter gestire eventi straordinari o di aumentare lo stake durante la stagione, se necessario.

La mia soluzione preferita è “immobilizzare” le riserve straordinarie in investimenti senza finalità di profitto che mi obblighino a disinvestire per accedere alla riserva. In pratica i soldi in più non devono essere immediatamente disponibili e di facile accesso, così da evitare utilizzi impropri.

Come detto già più volte questo lavoro è un gioco sottile di equilibrio psicologico e di strategie atte a preservarlo, e questo ne è un esempio concreto.

La gestione di una Bad Run

Per essere in grado di superare una Bad Run è essenziale analizzare dati storici del proprio lavoro. A partire da quelli si può definire il corretto rapporto tra stake e budget a disposizione.

E di conseguenza tutelarsi rispetto alla paura di finire il budget.

Devo però sottolineare che, al di là dei concreti dati storici, la paura di finire il budget è legata a doppio filo al mio modo di reagire a una bad run. 

I dati storici, infatti, indicano quanto, in media, la mia strategia mi espone in termini di varianza ed errori di valutazione, che fanno assolutamente parte dal gioco. Tuttavia non offrono tutela rispetto al rischio che, a fronte a una bad run, io non riesca a mantenere il controllo ed esponga il mio bankroll impreparato ad una serie negativa più ampia del normale.

In quel momento la strategia non conta nulla ed è tutta questione di lucidità e di tenuta psicologica. Non bisogna perdere la brocca, mai, perché lì in quel momento risiede il vero pericolo di vanificare un’intera stagione. Oppure peggio: fare un downgrade della propria crescita professionale davvero difficile da gestire.

Stagione dopo stagione ho codificato una personale modalità di gestione di questo momento, il momento in cui mi accorgo di essere in serie negativa. Già al secondo esito negativo consecutivo inizio a mettermi in allerta, mentre al terzo avvio già il mio personale piano di emergenza:

Un breve pausa

Quando entro in serie negativa, conta solo uscirne. Non conta il saldo mensile, non conta il budget annuale, non conta il come o il perché ci sono dentro e delle motivazioni che mi hanno portato a fare 3 errori consecutivi. 

Che si tratti di varianza o che siano errori di valutazione conta zero. Bisogna solo uscirne, e il primo passo è una breve pausa.

La pausa dev’essere breve, basta un giorno, utile solo per interrompere il flusso negativo e ricaricarsi di energia positiva con un bel concerto all’aperto, una bella cena con amici o uno spettacolo divertente a teatro.

Pause troppo lunghe ho visto che mi staccano troppo dal momento e dall’obiettivo di uscire dalla serie negativa, generando a volte un effetto contrario a quello desiderato.

Dalla pausa alla concentrazione sul movimento successivo

La mattina seguente al giorno di pausa mi sveglio con un solo pensiero in testa, il prossimo movimento, la prossima scelta.

È fondamentale, come detto, interrompere il flusso con il successivo movimento che dovrà essere scolastico, elementare, provato e codificato dal punto di vista strategico. Niente “colpi di testa”, niente varianti ai movimenti ordinari, quello non è il momento di fare l’artista.

È meglio lasciare le variazioni sul tema per le fasi di good run e conseguente flow positivo. In quel momento mi sento come Nadal di cui ammiro la straordinaria capacità di ragionare momento per momento e di resettare alla fine di ogni punto giocato. 

Allo stesso modo nulla deve deconcentrarmi dal prossimo movimento.

Iniezioni di logica

Delle iniezioni di logica parlerò successivamente in un articolo dedicato, al momento è importante sottolineare quanto, a maggior ragione in questo momento, sia importante dotarsi di un linguaggio positivo. Sia nella comunicazione verso l’esterno, sia nel proprio dialogo interiore, ancora più delicato e pericoloso.

Come afferma Paolo Borzacchiello, uno dei miei autori preferiti, uno dei massimi esperti di intelligenza linguistica applicata al business  , “Noi pensiamo in base a come parliamo”.

Va da sé che un linguaggio negativo in questo momento possa essere particolarmente deleterio e possa indirizzare i miei pensieri verso una scelta errata oltre che verso il proseguimento della serie negativa.

Quando rifletto su questo concetto, penso sempre ad un mio amico che, tempo fa, quando guardavamo insieme una partita e c’era un calcio di rigore iniziava a ripetere “adesso lo sbaglia, adesso lo sbaglia, figurati se ho fortuna”. E puntualmente il rigore finiva sul palo. Ecco, questo è proprio un esempio di come la propria comunicazione possa diventare un serio ostacolo!

All’interno di una bad run se non si assume il controllo del processo, dei propri pensieri e del proprio linguaggio, si possono commettere errori che mai ci saremmo sognati di compiere.

E molto dipende da come parliamo a noi stessi, dai messaggi che inviamo al nostro cervello e all’ambiente esterno.

Paura del fallimento

Paura del fallimento

Conosco bene la paura del fallimento, perché conosco bene anche il fallimento, e le sue perverse implicazioni psicologiche.

Era il 2008 e vedevo morire il mio primo progetto imprenditoriale, iniziato in pompa magna soltanto 2 anni prima. 

Tecnicamente non è stato proprio un fallimento, bensì la messa in liquidazione volontaria di una società di capitali che aveva avuto un grosso problema finanziario dovuto a cause esterne. Quindi il sottoscritto non aveva neanche una responsabilità diretta.

Nonostante questo l’ho vissuto ai tempi come il peggiore dei fallimenti e ancora adesso conservo vivide nella mia memoria le sensazioni di quegli anni.

Il contesto sociale di provenienza che ti condiziona 

A mio avviso il problema legato alla paura del fallimento è prima di tutto educativo, culturale e legato al contesto sociale di provenienza. In Italia se ti va male un’azienda sei bollato a vita, non sei degno nemmeno di avere in concessione un bancomat per la gestione ordinaria delle tue finanze. Insomma sei finito, o questo è quello che vogliono farti credere.

E poi ci sono le aspettative di chi ti circonda, di chi credeva che fossi infallibile, di chi sperava che non ce l’avresti fatta, di chi non ti guarda più con gli stessi occhi di prima.

Tutto normale in una cultura permeata dai fondamenti della religione cristiana, basata sul perenne senso di colpa e sudditanza rispetto a chi c’è sopra.

Devo dire che per un ragazzo di 27 anni, nato in Italia con origini popolari, è stata davvero dura e mi sono portato dietro i dettami di questo clima soffocante per tanto tempo. 

Se fossi nato (o anche solo cresciuto/vissuto) negli Stati Uniti sarebbe stato molto diverso, poiché nel loro contesto sociale e imprenditoriale il fallimento è considerato un prerequisito fondamentale per il successo. 

Oltreoceano il fallimento rappresenta una concreta occasione di apprendimento e se non hai fallito almeno una volta non puoi avere successo.

Oggi a distanza di 15 anni posso confermare tutto questo: gestisco 3 aziende, ho tanto tempo libero, posso scegliere liberamente dove vivere e soprattutto ho realizzato il mio sogno. Sono diventato un professionista in questa favolosa attività, lo Sport Trading, che rappresenta la mia passione ma anche la mia libertà, in tutto e per tutto.

Per superare tutto questo però è stato necessario allontanarmi da dove sono cresciuto, dal luogo del (presunto) delitto, dedicarmi alla crescita personale, lavorare su me stesso e arricchire i miei orizzonti di altri mondi e altri modi di pensare.

Il fallimento come opportunità di crescita

Il fallimento è parte del processo di crescita e, salvo casi rarissimi, è inevitabile per chi prova a non accontentarsi, a crescere uscendo dalla propria area di comfort. E quello che impari reagendo ad un’esperienza di questo tipo non lo trovi su nessun libro.

Thomas Edison diceva: “Non ho fallito. Ho solamente provato 10.000 metodi che non hanno funzionato”.

E questa frase la dice lunga sulla differenza tra l’approccio americano e quello europeo.

Secondo il mio parere il concetto di fallimento tocca una leva differente, e ancora più profonda rispetto al rapporto con gli errori. Una leva che sentivo bruciare negli sguardi altrui cambiati o nelle offerte compassionevoli di supporto, con annessa soddisfazione per il mio dissesto finanziario.

Riguarda il rapporto con te stesso, e con la definizione di quello che sei.

Etichette sociali e fallimento

Viviamo in un mondo abituato ad affibbiare delle etichette, a partire dal proprio nome e dal proprio cognome, fino alla professione e al ruolo sociale.

Io sono Davide.

Io sono Renna.

Io sono Imprenditore.

Io sono Figlio.

Io sono Marito.

Io sono Fallito.

Semplici etichette. Ma io non sono niente di tutto questo.

Il mio nome non mi rappresenta, non l’ho scelto io. È un bel nome, ma è comune a molti con cui non ho niente a che fare. È qualcosa che possiedo, non qualcosa che sono.

Il mio cognome men che meno, perché a differenza del nome, mi piace ancora meno. Quanta importanza è stata data in passato al cognome, importanza esagerata perché la storia insegna che i legami di sangue vogliono dire poco o niente. Sicuramente non ho in comune nulla con gli altri Renna, anche qui il cognome è qualcosa che possiedo, non qualcosa che sono.

Io sono un Imprenditore? Quindi non posso essere un Trader? Oppure uno Scrittore? 

Non è vero. L’attività imprenditoriale è qualcosa che faccio, così come faccio tante altre cose, non qualcosa che sono.

Io sono un Figlio e Marito? Oddio, se mia madre leggesse queste righe sarei direttamente responsabile del suo innalzamento di pressione.

Mi spiace ma anche in questo caso rifiuto di farmi etichettare. Si tratta di due ruoli che amo fare ma che non rappresentano in modo irrevocabile quello che sono. Non certo per diritto acquisito dal fatto che sono nato da una mamma o ho deciso di sposarmi, ma solo dal piacere che provo nell’avere quel determinato ruolo.

Fallimento e percezione di sé

E veniamo quindi al Fallimento e alla paura del fallimento. 

Come potrei mai sentirmi un “fallito”, quando non mi sento un Davide, un Renna, un Imprenditore, un Figlio o un Marito?

Il Fallimento è un’esperienza che fai, dura ma preziosa, ma che non segna quello che sei. Siamo molto più di crude etichette sociali.

E a maggior ragione non siamo il nostro passato. Il passato non ci determina se non lo vogliamo, possiamo cambiare strada quando e come vogliamo. Il futuro è determinato dai nostri desideri, non certo da quello che abbiamo fatto (e che non siamo).

Questo è il più grande insegnamento di questi ultimi 15 anni in cui ho dovuto fare i conti con una delle esperienze più forti della mia vita.

Per questo motivo oggi mi approccio a qualsiasi attività che inizio con la serenità di chi sa che fallire è un’eventualità, esattamente come avere successo. E nel caso mi farà capire come fare meglio la volta successiva.

E in ogni caso non intaccherà la visione e la percezione di chi sono.

A proposito, ma se non sono tutte quelle etichette, alla fine chi sono?

Io sarò quello che sarò, diceva qualcuno.

Dove vive uno Sport Trader?

Dove vive uno Sport Trader?

Scegliere dove vivere è un tema a mio avviso sottovalutato ma molto importante. Spesso si vive in un posto non per una scelta consapevole bensì per abitudine o casualità. 

Tuttavia, alla luce della mia esperienza, e considerando la volontà di sviluppare un mindset da Sport Trader, ritengo questa scelta assolutamente fondamentale.

Oggi siamo senz’altro più fortunati rispetto a 20 anni fa, poiché molti lavori si possono svolgere da remoto e lo sviluppo dei mezzi di comunicazione ha permesso di annullare le distanze in svariate situazioni. 

Ciò nonostante, spesso continuiamo a considerare la scelta del luogo in cui vivere come irrevocabile e a tempo indeterminato.

Ma se professionalmente ho la fortuna (o la bravura) di potermi muovere dove preferisco, perché scegliere un solo posto in cui vivere?

Dalla Brianza alla Slovenia

Il mio primo grande trasferimento è avvenuto nel 2014, quando dalla Brianza mi sono “spostato” in Slovenia per permettere lo sviluppo, legale e senza ostacoli, della mia professione di Sport Trader.

In Italia infatti le piattaforme professionali internazionali legate al mondo dello Sport Trading, erano e sono probabilmente tuttora bloccate, rendendone di fatto l’utilizzo “illecito” (anche se a dire il vero la legislazione è molto confusa in tal senso).

Proprio per questo mi sono trasferito in Slovenia, un Paese molto più liberale da questo punto di vista. Nel frattempo ho iniziato a svolgere da remoto anche le altre mie attività imprenditoriali e manageriali.

In un certo senso sono stato un precursore in tempi non sospetti, ben prima della pandemia, del lavoro da remoto

Forse inizialmente sono stato costretto dalla mia scelta di trasferirmi, ma ho ben presto sperimentato il valore della libertà. La libertà di spostarmi con il mio Macbook ovunque nel mondo potessi trovare le condizioni migliori per la mia crescita personale e professionale.

Inizialmente la Slovenia era perfetta per un imprenditore milanese, in fuga dallo stress metropolitano e desideroso di crearsi un luogo dove coltivare la propria passione.

Però quando lo stress finisce e si fa strada il bisogno di nuovi stimoli, nasce la consapevolezza che il rendimento, in questo ambito, è strettamente legato agli stimoli offerti dall’ambiente in cui si vive.

I viaggi e la ricerca di nuovi stimoli

Negli anni successivi ho cominciato quindi a girovagare, affittando appartamenti in diverse città per brevi periodi (uno o due mesi al massimo). Il tutto durante le mie stagioni da Sport Trader, per poi tornare in Slovenia (dove ancora vivo e risiedo) per i periodi di pausa, e per il periodo estivo.

Ed è curioso osservare a ritroso le mie statistiche, notando che il massimo del rendimento negli ultimi 3 anni l’ho ottenuto nei miei soggiorni prolungati a New York e Londra (città per me molto stimolanti) e nel mio piccolo tour del Canada (Toronto/Montreal/Quebec City), estasiato dallo stimolo della scoperta che solo viaggiare ti sa dare.

Ho osservato inoltre che le mie migliori performance sono state conseguite durante i soggiorni più lunghi, a dispetto di performance sotto la media nei periodi in cui cambiavo settimanalmente città di riferimento.

L’importanza della routine

Il significato di questo riscontro credo sia da collegare all’esigenza di costruire delle routine. La città in cui vivo infatti non deve solo stimolarmi (e lo stimolo quindi può cambiare di volta in volta) ma anche permettermi di ottenere una “stabilità” tale da consentire la creazione di una struttura organizzativa di tutto quello che gira intorno alla performance e che incide tantissimo sul mio rendimento: alimentazione, sonno, passeggiate, tempo libero, lettura e svago.

Per questo motivo la scelta della città in cui vivere è determinante per la produttività di uno Sport Trader.

Ad esempio, in occasione dei Mondiali di calcio che si sono svolti in Qatar a Novembre del 2022, ho deciso di rimanere a casa in Slovenia. Allo stesso tempo non ho perso di vista la necessità di individuare il luogo migliore in cui vivere nel primo trimestre dell’anno successivo.

Dove andare per avere nuovi stimoli da cui trarre obiettivi di crescita personale e professionale?

Tra Londra, Barcellona, Canarie, California e la sempre magica New York, ho scelto alla fine Londra. La stessa scelta che ho ripetuto a gennaio di quest’anno, per passare poi a Dubai tra febbraio e marzo, in concomitanza con il bellissimo Tennis ATP 500 e WTA 1000 arrivato alla sua 31° edizione.

Lì ho intrapreso ancora una volta il fondamentale processo di costruzione di nuove abitudini, da arricchire di volta in volta con tutto quello che poteva farmi rendere al meglio.

Obiettivo raggiunto! 

Affrontare le proprie paure

Affrontare le proprie paure

Come ho affrontato le mie paure nell’ambito dello Sport Trading? Il viaggio che mi ha portato verso il professionismo è stato un percorso lungo, tortuoso ma al tempo stesso piacevole di miglioramento personale.

Se ci pensiamo, è infatti impossibile scindere individuo e professione, e se è vero per qualsiasi attività lavorativa, lo è ancor più per le discipline come quelle dello Sport Trading che prevedono performance individuali e non di gruppo. 

Quando lavori da solo puoi contare solo su te stesso e ogni piccolo miglioramento nel tuo equilibrio personale si ripercuote in modo diretto sulla performance professionale.

Per quanto mi riguarda, lavorare sui miei punti deboli è stato decisivo per la crescita delle mie prestazioni. 

Limitare i difetti, per ottenere più successo

Sono fermamente convinto che limitare i propri difetti sia molto più importante che potenziare i propri talenti.

Il ragionamento che sta alla base è molto semplice: devo portare in equilibrio i difetti e i pregi, così da arrivare sostanzialmente a un pareggio.

L’ideale sarebbe anche andare oltre e limitare il più possibile i difetti e le cose che so fare male, per portarle ad un livello neutro in cui non hanno più valore e importanza.

In questo modo i pregi, le potenzialità e le cose che so fare bene diventano il mio valore aggiunto.  

Proprio per questo ho sempre avuto una piccola ossessione: limitare i miei punti deboli prima di potenziare i punti di forza.

I punti deboli possono essere legati al mindset (paure, convinzioni limitanti, “bias cognitivi”) o avere natura tecnico-strategica.

Nel mio percorso verso l’ottimizzazione del metodo ho dedicato attenzione a entrambi gli aspetti, anche se ovviamente quelli legati al mindset hanno avuto un peso differente.

Per prima cosa mi sono occupato della gestione della paura, e ancora ci sto lavorando.

Le paure sono più diffuse di quanto non si pensi. Tutti ne abbiamo, di manifeste o inconsapevoli, a volte subdole. Ma è importante capire quanto sia grande il loro impatto sulle prestazioni lavorative e sull’approccio mentale.

Che cos’è una paura?

Tra le numerose definizioni di paura, quella che mi è stata più utile è stata la versione di Jared Tendler nel “Mental Game del Poker. Qui la paura viene definita come un accumulo di ansia derivante da un’incertezza, ovvero da domande a cui non abbiamo ancora dato risposta.

Questa descrizione semplice e immediata relativa all’emozione della paura mi ha stimolato a cercare le domande non risposte che potevano essere alla base delle mie paure.

Ho subito capito che la capacità di porsi delle domande è sempre indice di una forza interiore incredibile.

Da lì passare all’azione è stato facile e naturale: ho iniziato a pormi delle domande, a scriverle, anche a lasciarle anche senza risposta.

Poi ho aspettato che le risposte prendessero forma, in modo più o meno consapevole.

Questo è stato un passo molto importante per la mia crescita personale e professionale, e ha portato alla risoluzione delle mie paure più grandi.

Questo percorso ha poi avuto un’accelerazione importante quando ho conosciuto il pensiero di Igor Sibaldi e la sua visione, che ha contribuito a far crescere in me la consapevolezza e la determinazione.

D’altronde chi si impegna in un lavoro non codificato, spesso discriminato dall’opinione pubblica, povero di certezze ma carico di rischi, o è un pazzo oppure è destinato a vedere il mondo in modo diverso rispetto alla maggior parte dei suoi contemporanei.

“L’antidoto della paura non è il coraggio”, afferma Igor Sibaldi, perché quando arriva il coraggio nella tua mente la paura ti ha già condizionato e quindi ha già vinto. Il coraggio è una reazione alla paura.

“La paura va anticipata e si sconfigge cambiando completamente la situazione in cui ti trovi, la paura si sconfigge attraverso il desiderio di conoscenza di qualcos’altro, attraverso il cambiamento radicale della tua personalità. Non si tratta solo di affrontare la paura, si tratta di essere più grandi della propria paura, e questo si può ottenere solamente crescendo al di là delle proprie possibilità.

Come si fa? Facendosi domande, le più profonde, le più autentiche.

Il desiderio di conoscenza è il vero nemico della paura e il suo antidoto”.

Questo punto di vista è stato per me fondamentale e stimolante per iniziare ad affrontare le mie principali paure nello Sport Trading, consapevole che comprendendole, limitandole e superandole avrei dato una svolta incredibile alle mie performance da Sport Trader.

I 5 vantaggi di lavorare con un Mental Coach per gli Sport Trader

I 5 vantaggi di lavorare con un Mental Coach per gli Sport Trader

Il mondo dello Sport Trading è estremamente competitivo e stressante. Lo so per esperienza diretta, anche per via dell’inizio dell’attività in un periodo in cui ancora si trattava di una professione poco diffusa e guardata con sospetto.

Per ottenere successo in questo campo, ritengo sia importante essere al top a livello sia mentale sia fisico. Per questo molti sport trader professionisti, come me, scelgono di lavorare con un Mental Coach.

In sintesi, lavorare con un Mental Coach può fornire a uno Sport Trader una serie di vantaggi importanti per migliorare le prestazioni e gestire lo stress.

Di seguito andremo ad esplorare i 5 principali vantaggi che può avere uno Sport Trader grazie al lavoro con un Mental Coach.

1. Miglioramento della concentrazione

Un Mental Coach può aiutare uno Sport Trader a sviluppare la capacità di concentrarsi sull’obiettivo. A mantenere l’attenzione su di esso e a limitare le distrazioni.

Questo si rivela particolarmente importante durante le sessioni di trading, in cui la concentrazione e la capacità di prendere decisioni rapide sono fondamentali.

2. Gestione delle emozioni

La gestione delle emozioni è un aspetto delicato per lo Sport Trader. Il controllo di tutto quanto attiene alla sfera della sensibilità personale è importantissima, per evitare di commettere errori a causa della scarsa razionalità.

Il Mental Coach può aiutare a gestire lo stress, la paura e la rabbia che spesso accompagnano il trading.

E di conseguenza può aiutare a prendere decisioni più oggettive e ad evitare errori impulsivi che potrebbero causare perdite finanziarie.

3. Sviluppo della resilienza

Il trading sportivo può risultare un’attività molto stressante e pesante, anche per via della necessità di mantenersi sempre lucidi e “sul pezzo”

Grazie al lavoro con il Mental Coach si può sviluppare la resilienza per affrontare le difficoltà con maggiore facilità.

Il vantaggio riguarda la capacità di recuperare dopo le perdite e di continuare a lavorare in direzione degli obiettivi a lungo termine.

4. Ottimizzazione delle prestazioni

Le prestazioni di un Trader possono sempre essere migliorate, rafforzate, indirizzate. Un calo dell’attenzione è sempre possibile, l’errore dietro l’angolo, ed è importante disporre degli strumenti per contrastarlo.

Un Mental Coach può aiutare a identificare i punti di forza e di debolezza di uno Sport Trader e a sviluppare un piano personalizzato per migliorare le prestazioni.

Il percorso può includere la formazione su tecniche di concentrazione e di gestione delle emozioni, oltre all’elaborazione di un piano di allenamento fisico e mentale.

5. Sviluppo personale

Essenziale per uno Sport Trader è infine la conoscenza di se stesso, delle proprie potenzialità e, anche e soprattutto, dei propri limiti.

In questo senso, lavorare con un Mental Coach può aiutare lo Sport Trader a sviluppare autoconsapevolezza e a raggiungere una maggiore comprensione di se stesso. Di conseguenza lo indirizza a una più agevole gestione delle emozioni e delle decisioni.

Ma come scegliere il Mental Coach “giusto” per lo Sport Trading?

A mio avviso, sono tre i punti importanti da considerare nella scelta del tuo Mental Coach:

Esperienza e competenza del Mental Coach

Verifica che il Mental Coach abbia una formazione e un’esperienza significativa nel lavoro con Sport Trader o in settori correlati. Inoltre, verifica se ha lavorato con altri Sport Trader che hanno ottenuto risultati significativi.

Approccio personalizzato

Il Mental Coach dovrebbe essere in grado di offrire un approccio personalizzato e su misura per le tue esigenze specifiche. Chiedi come intende lavorare con te e come ti aiuterà a raggiungere i tuoi obiettivi.

Comunicazione e connessione

La comunicazione e la connessione sono fondamentali in qualsiasi rapporto di lavoro, soprattutto in quello con un Mental Coach. Assicurati di sentirti a tuo agio nell’interagire con il tuo Mental Coach e che ci sia una buona chimica tra voi due. Questo ti aiuterà a creare un’alleanza forte e a ottenere i massimi risultati dal lavoro insieme.

In conclusione, la scelta di lavorare con un Mental Coach dovrebbe essere valutata da chiunque decida di approcciarsi alla professione dello Sport Trading a 360°.

O meglio, da chi voglia affinare e valorizzare tutte le capacità personali che possono rivelarsi utili per svolgere in modo soddisfacente e proficuo questo meraviglioso lavoro.