Conosco bene la paura del fallimento, perché conosco bene anche il fallimento, e le sue perverse implicazioni psicologiche.
Era il 2008 e vedevo morire il mio primo progetto imprenditoriale, iniziato in pompa magna soltanto 2 anni prima.
Tecnicamente non è stato proprio un fallimento, bensì la messa in liquidazione volontaria di una società di capitali che aveva avuto un grosso problema finanziario dovuto a cause esterne. Quindi il sottoscritto non aveva neanche una responsabilità diretta.
Nonostante questo l’ho vissuto ai tempi come il peggiore dei fallimenti e ancora adesso conservo vivide nella mia memoria le sensazioni di quegli anni.
Il contesto sociale di provenienza che ti condiziona
A mio avviso il problema legato alla paura del fallimento è prima di tutto educativo, culturale e legato al contesto sociale di provenienza. In Italia se ti va male un’azienda sei bollato a vita, non sei degno nemmeno di avere in concessione un bancomat per la gestione ordinaria delle tue finanze. Insomma sei finito, o questo è quello che vogliono farti credere.
E poi ci sono le aspettative di chi ti circonda, di chi credeva che fossi infallibile, di chi sperava che non ce l’avresti fatta, di chi non ti guarda più con gli stessi occhi di prima.
Tutto normale in una cultura permeata dai fondamenti della religione cristiana, basata sul perenne senso di colpa e sudditanza rispetto a chi c’è sopra.
Devo dire che per un ragazzo di 27 anni, nato in Italia con origini popolari, è stata davvero dura e mi sono portato dietro i dettami di questo clima soffocante per tanto tempo.
Se fossi nato (o anche solo cresciuto/vissuto) negli Stati Uniti sarebbe stato molto diverso, poiché nel loro contesto sociale e imprenditoriale il fallimento è considerato un prerequisito fondamentale per il successo.
Oltreoceano il fallimento rappresenta una concreta occasione di apprendimento e se non hai fallito almeno una volta non puoi avere successo.
Oggi a distanza di 15 anni posso confermare tutto questo: gestisco 3 aziende, ho tanto tempo libero, posso scegliere liberamente dove vivere e soprattutto ho realizzato il mio sogno. Sono diventato un professionista in questa favolosa attività, lo Sport Trading, che rappresenta la mia passione ma anche la mia libertà, in tutto e per tutto.
Per superare tutto questo però è stato necessario allontanarmi da dove sono cresciuto, dal luogo del (presunto) delitto, dedicarmi alla crescita personale, lavorare su me stesso e arricchire i miei orizzonti di altri mondi e altri modi di pensare.
Il fallimento come opportunità di crescita
Il fallimento è parte del processo di crescita e, salvo casi rarissimi, è inevitabile per chi prova a non accontentarsi, a crescere uscendo dalla propria area di comfort. E quello che impari reagendo ad un’esperienza di questo tipo non lo trovi su nessun libro.
Thomas Edison diceva: “Non ho fallito. Ho solamente provato 10.000 metodi che non hanno funzionato”.
E questa frase la dice lunga sulla differenza tra l’approccio americano e quello europeo.
Secondo il mio parere il concetto di fallimento tocca una leva differente, e ancora più profonda rispetto al rapporto con gli errori. Una leva che sentivo bruciare negli sguardi altrui cambiati o nelle offerte compassionevoli di supporto, con annessa soddisfazione per il mio dissesto finanziario.
Riguarda il rapporto con te stesso, e con la definizione di quello che sei.
Etichette sociali e fallimento
Viviamo in un mondo abituato ad affibbiare delle etichette, a partire dal proprio nome e dal proprio cognome, fino alla professione e al ruolo sociale.
Io sono Davide.
Io sono Renna.
Io sono Imprenditore.
Io sono Figlio.
Io sono Marito.
Io sono Fallito.
Semplici etichette. Ma io non sono niente di tutto questo.
Il mio nome non mi rappresenta, non l’ho scelto io. È un bel nome, ma è comune a molti con cui non ho niente a che fare. È qualcosa che possiedo, non qualcosa che sono.
Il mio cognome men che meno, perché a differenza del nome, mi piace ancora meno. Quanta importanza è stata data in passato al cognome, importanza esagerata perché la storia insegna che i legami di sangue vogliono dire poco o niente. Sicuramente non ho in comune nulla con gli altri Renna, anche qui il cognome è qualcosa che possiedo, non qualcosa che sono.
Io sono un Imprenditore? Quindi non posso essere un Trader? Oppure uno Scrittore?
Non è vero. L’attività imprenditoriale è qualcosa che faccio, così come faccio tante altre cose, non qualcosa che sono.
Io sono un Figlio e Marito? Oddio, se mia madre leggesse queste righe sarei direttamente responsabile del suo innalzamento di pressione.
Mi spiace ma anche in questo caso rifiuto di farmi etichettare. Si tratta di due ruoli che amo fare ma che non rappresentano in modo irrevocabile quello che sono. Non certo per diritto acquisito dal fatto che sono nato da una mamma o ho deciso di sposarmi, ma solo dal piacere che provo nell’avere quel determinato ruolo.
Fallimento e percezione di sé
E veniamo quindi al Fallimento e alla paura del fallimento.
Come potrei mai sentirmi un “fallito”, quando non mi sento un Davide, un Renna, un Imprenditore, un Figlio o un Marito?
Il Fallimento è un’esperienza che fai, dura ma preziosa, ma che non segna quello che sei. Siamo molto più di crude etichette sociali.
E a maggior ragione non siamo il nostro passato. Il passato non ci determina se non lo vogliamo, possiamo cambiare strada quando e come vogliamo. Il futuro è determinato dai nostri desideri, non certo da quello che abbiamo fatto (e che non siamo).
Questo è il più grande insegnamento di questi ultimi 15 anni in cui ho dovuto fare i conti con una delle esperienze più forti della mia vita.
Per questo motivo oggi mi approccio a qualsiasi attività che inizio con la serenità di chi sa che fallire è un’eventualità, esattamente come avere successo. E nel caso mi farà capire come fare meglio la volta successiva.
E in ogni caso non intaccherà la visione e la percezione di chi sono.
A proposito, ma se non sono tutte quelle etichette, alla fine chi sono?
Io sarò quello che sarò, diceva qualcuno.
Davide Renna è un imprenditore ed esperto di trading sportivo, dedicato a promuovere la crescita finanziaria e l’innovazione.