Avversione alla perdita e Sport Trading

Davide Renna

L’avversione alla perdita è la tipologia di paura che incide maggiormente nelle decisioni quotidiane di uno Sport Trader.

Questa paura è conosciuta già da molto tempo, teorizzata nel 1979 dal premio Nobel Daniel Kahneman e da Amos Tversky, professore di psicologia a Stanford. In un articolo intitolato “Prospect Theory: An Analysis of Decision under Risk” (“Teoria del Prospetto: un’analisi della decisione in presenza di rischio”), viene spiegato che l’impatto di una perdita ha un peso emotivo sul giocatore molto più alto rispetto all’emozione per una vincita.

D’altronde questo tipo di sensazione è anche abbastanza comune anche per chi per lavoro prende una molteplice quantità di decisioni: un errore o una decisione sbagliata pesa molto di più di una corretta.

Viviamo in una società che porta ad aver paura di sbagliare e a condannare l’errore, provocando un eccesso di frustrazione, senso di colpa e vergogna in chi commette uno sbaglio. Sbagliare molto più spesso viene percepito come “fallire” ed è per questo che l’errore viene spesso condannato, in primo luogo da chi lo commette.

Fortunatamente il mio percorso di apprendimento ha avuto come punto di riferimento, in tema di mindset e crescita, la mentalità americana più di che quella europea, riscontrando una differenza enorme di metodologia e cultura nell’approccio agli errori: oltreoceano infatti si apprende per “prove ed errori” e l’errore non solo non è discriminato ma è considerato necessario per l’apprendimento e per raggiungere l’obiettivo.

Nel mio percorso verso il professionismo ho dovuto fare i conti con questo prezioso insegnamento e ho costruito un rapporto tutto nuovo con gli errori e con le inevitabili perdite che ne conseguono.

Sbagliando si impara

La saggezza popolare insegna, ma non è sempre facile adeguarsi.

Dopo diversi anni di professionismo specificherei che è solo quando finisci di avere paura di perdere che inizi davvero a vincere.

In che modo ho affrontato l’avversione alla perdita? 

Come consiglia Igor Sibaldi: diventando più grande della paura attraverso la conoscenza.

Per prima cosa ho cominciato a distinguere due tipologie di errori:

  1. quelli determinati da me (valutazione sbagliata / errore tecnico)
  2. quelli non attribuibili direttamente a me (quindi legato al concetto di varianza)

Per affrontare quelli relativi alla prima categoria, ossia imputabili a una mia errata valutazione o a un movimento tecnico sbagliato, ho lavorato su 3 differenti aspetti: approccio razionale, psicologico e pratico.

Approccio razionale: l’analisi degli Errori

Ho iniziato nel 2011 a raccogliere ogni mio singolo movimento all’interno di un database, integrandolo nell’ultimo anno con descrizioni qualitative e quantitative. In questo modo posso individuare gli errori tecnici più comuni, raccoglierli in categorie, identificarne i pattern e trovare strategie mirate per limitarli.

L’errore tecnico in valore percentuale su 100 movimenti è diminuito significativamente, quindi, attraverso un lavoro razionale volto a codificarlo.

Ad esempio ho scoperto che una specifica categoria di errore ripetitivo era dovuta a movimenti eseguiti a livello temporale a poca distanza dall’inizio dell’evento. 

Sono riuscito a ridurre in modo considerevole questa categoria di errori (che chiamo “errore Last Minute”) attraverso la programmazione di una routine mattutina che mi portasse a scegliere i movimenti quotidiani in una porzione di giornata molto distante dall’inizio dell’evento (solitamente serale). In questo modo lascio il tempo al mio intuito e alla mia mente di ponderare le scelte con tempistiche più adeguate.

Approccio psicologico: il mio giudice Interiore

Ho cercato di indebolire il potere del mio severo giudice interiore. Sono infatti sempre stato diviso tra la razionalità e la naturale tendenza ad essere giudice inflessibile di me stesso.

Razionalmente so che sbagliare fa parte del processo (e d’altronde se un win rate del 70% mi porta al successo significa che su 10 movimenti 3 sono comunque sbagliati), l’ho capito, ma allo stesso tempo voglio essere perfetto e infallibile.

Nel mio caso la colpa del mio atteggiamento è sua, del mio giudice interiore.

Di quella vocina dentro di me che scruta, analizza, valuta, decide l’obiettivo e impone di raggiungerlo.

A volte è stimolante perché permette di alzare l’asticella, ma quando la alza troppo diventa controproducente. È questione di equilibrio.

Sono sempre stato abituato a voler vincere: ad essere il primo della classe, nello sport o in qualunque competizione, anche ludica, con gli amici.

Ma ho capito, con il tempo, che nessuno ci impone di essere perfetti, se non qualcosa dentro noi stessi con cui dobbiamo fare i conti.

Nessuno è perfetto, io non lo sono e non lo voglio essere.

Sbaglio, a volte anche tanto, ma ho una grande qualità: quando sbaglio imparo.

Quando ho dialogato in modo così chiaro e deciso al mio giudice interiore è immediatamente cambiato il mio rapporto con lui, con la perdita, e giocoforza anche le mie prestazioni sono migliorate.

Avere la consapevolezza di poter non essere perfetto rende sereni, e la serenità accende facoltà intuitive che sotto pressione si spengono.

Approccio pratico: No Play

Ho creato una semplice regola che mi ricorda semplicemente di non sottovalutare nessun movimento, anche se poco consistente dal punto di vista economico.

Fino a qualche tempo fa ogni tanto mi concedevo qualche piccolo movimento che chiamavo “defaticante”. In pratica nei periodi lunghi carichi di tensione o particolarmente densi di attività mi piaceva “buttare” qualche movimento con valore economico simbolico a scopo ludico.

Praticamente ogni tanto giocavo. Poco ma giocavo.

Economicamente nulla di male, i movimenti erano davvero di poco conto rispetto alle mie politiche di money management, ma qualcosa a livello psicologico non funzionava.

La parte destra del nostro cervello, quella che vive le emozioni, non è razionale e non distingue tra movimenti economicamente poco rilevanti e movimenti cospicui.

Perdere è perdere e sbagliare è sbagliare.

Quando ho capito questa semplice dinamica ho deciso di preservare l’equilibrio psicologico legato ai movimenti professionali semplicemente “defaticandomi” all’esterno del lavoro, con una passeggiata, una nuotata o qualsiasi altra attività non connessa allo Sport Trading.

In conclusione, per operare al meglio come Sport Trader, accettare e gestire la possibilità di errore è importantissimo. Ne beneficiano i percorsi decisionali e l’approccio alla professione.

E, una volta appreso come fare, si può traslare questa capacità anche nella vita privata. Un beneficio non da poco.

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